L’A.I.R.S. e il suo approccio all’ipersensibilità uditiva

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Oggi riportiamo alcune parti di un articolo redatto, a cura di G. Cianfrone e S.Passi, sul sito dell’A.I.R.S. (Associazione Italiana per la Ricerca sulla Sordità) in collaborazione con l’Università la Sapienza di Roma. Per quanto si possa essere (a cominciare da noi stessi che pubblichiamo questi articoli) d’accordo o meno con alcune informazioni riportate, come sempre non ci sentiamo di escludere alcuna informazione sull’argomento “sensibilità uditiva”. Buona lettura.

I suoni continui e forti risultano fastidiosi per molte persone. Però esistono senz’altro persone con un udito più sensibile rispetto ad altri e alle quali risulta decisamente molto fastidioso ascoltare livelli sonori anche ritenuti normali per tutti gli altri.
Se non è presente perdita uditiva si parla di Iperacusia (termine con il quale nel sito si intende una ridotta capacità della persona di tollerare i suoni esterni ovvero la percezione esagerata ed esasperata del fastidio prodotto da suoni che la popolazione normale percepisce come ben tollerati. Si può giungere fino alla sensazione del dolore) e qui dobbiamo prendere in considerazione non tanto l’orecchio come organo periferico quanto più tutto quello che succede dal nervo acustico in poi, fino al cervello.
Il cervello gioca un ruolo essenziale nel tipo di sensibilità che abbiamo nei confronti dei suoni. Una volta arrivati all’orecchio interno i suoni elaborati dalle cellule ciliate, 10.000 fibre del nervo acustico portano l’informazione sonora fino alla corteccia uditiva del cervello (lobo temporale). Qui abbiamo la consapevolezza del suono. Il primo compito del sistema uditivo centrale è quello di estrarre tra i tanti messaggi che arrivano dall’esterno, quelli importanti rispetto al rumore di sottofondo. Spesso suoni anche lievi sono ricchi di significato e quindi balzano alla nostra consapevolezza perché vengono amplificati da una parte del sistema nervoso centrale chiamata sistema limbico (centro dell’apprendimento e delle emozioni) e corteccia prefrontale (coinvolta con il comportamento) che serve proprio a cogliere e amplificare suoni non necessariamente forti ma che potenzialmente indicano una situazione di pericolo. Nella maggior parte dei casi l’associazione automatica che viene fatta con certi suoni ha caratteristiche di pericolo: questo suono mi danneggerà l’orecchio? Ridurrà la qualità della mia vita diminuendo i periodi di tranquillità? Interferiranno con la mia concentrazione? Molto spesso l’ipersensibilità nei confronti dei suoni inizia con una paura irrazionale e poi si struttura nel tempo.
Siccome il sistema uditivo centrale è molto potente è in grado di percepire suoni anche molto deboli, se allenato e quindi un suono associato ad un pericolo, anche se molto debole, può essere inizialmente percepito solo nell’assoluto silenzio, ma un allenamento, anche se chiaramente negativo, può farlo percepire poi in tutte le situazioni, anche non necessariamente silenziose.

Anche variazioni nell’umore o nel livello di ansia possono inoltre aumentare il livello di sensibilità e far captare ancora di più segnali esterni o interni percepiti come potenzialmente pericolosi. Questa situazione può estendersi anche agli altri sensi creando ipersensibilità dell’olfatto, della vista, del gusto o del tatto aumentando la percezione del dolore.

Cari lettori misofonici, vi ritrovate?

L’iperacusia, specie nelle donne, può essere associata a disturbi ormonali, oppure può essere favorita da disfunzioni dell’articolazione temporo-mandibolare, o da irritazioni del nervo trigemino ed in tal caso associarsi ad emicranie; può infine essere favorita dalla tensione tonica del muscolo tensore del timpano (TTTS), nel qual caso può accompagnarsi a senso di “blocco” auricolare. Vi sono evidenze scientifiche che dimostrerebbero in alcuni casi l’azione favorente sull’iperacusia esercitata da una carenza del neurotrasmettitore Serotonina, conosciuto per avere un’azione inibitrice di “calmiere” sulle percezioni sensoriali. L’iperacusia è presente nell’autismo infantile ed in alcune sindromi rare come la s. di Williams.
Quindi la ipersensibilità uditiva può essere presente in udito normale (iperacusia) associarsi a deficit uditivo (recruitment e iperacusia insieme), assumere caratteri fobici con reazioni comportamentali esasperate (fonofobia) o con sola sensazione di fastidio (misofonia).

Qui non siamo d’accordo con il definire la misofonia una semplice “sensazione di fastidio”; forse chi ha scritto l’articolo ha fatto riferimento ad una forma iniziale di misofonia.

Gli esami migliori oltre all’audiometria tonale (sopraliminare) classica sono l’impedenzometria con il test dei riflessi stapediali che evidenzia la presenza di recruitment ed inoltre il test della Loudness Disconfort Level (LDL) che evidenzia la presenza o meno di iperacusia. Chiaramente gli esami vanno eseguiti con estrema attenzione e delicatezza in quanto il soggetto sofferente di una qualsiasi forma di diminuzione della capacità di tollerare i suoni si sente in pericolo durante gli esami e dobbiamo cercare di non contribuire all’aumento della loro sensibilità. Inoltre è decisamente importante non procedere all’impedenzometria che richiede l’uso di livelli di intensità del suono decisamente sovraliminari se prima non si è effettuato l’esame LDL. Se la sensibilità del soggetto è alta conviene rimandare l’esame dei riflessi stapediali dopo un periodo di riabilitazione uditiva.

Per la cura dell’iperacusia le metodiche di esposizione progressiva ai suoni che si rifanno alla terapia madre della “sound habituation therapy” o “terapia del suono” come la TRT ben nota per il trattamento degli acufeni, sicuramente offrono un approccio efficace nel trattamento di questo fastidioso disturbo, sia che siano presenti acufeni sia che non lo siano. In presenza di una perdita uditiva è necessario l’uso delle protesi, ma queste vanno regolate con estrema attenzione da parte dell’audioprotesista con un controllo dell’uscita massima estremamente ridotto nel periodo iniziale e poi gradualmente aumentato e portato al livello necessario al tipo di perdita nel tempo, anche in tempi molto lunghi. Necessario è “svezzare” l’orecchio ai suoni ma con estrema gradualità come si fa nel caso dello svezzamento del bambino ai cibi o nella desensibilizzazione delle allergie. In caso di normoacusia è necessario l’uso di “generatori di suono” che erogano un rumore di sottofondo inizialmente al livello di minima percezione almeno 6-8 ore al giorno, volume che andrà gradualmente aumentato man mano che il sistema uditivo del soggetto si desensibilizza.

Fondamentale oltre alla “terapia del suono” sopra descritta è il counselling educativo che consente alla persona di venire a conoscenza del reale funzionamento dell’organo dell’udito, di come funziona, di quali sono i suoni veramente dannosi. Affiancare a tutto ciò tecniche di rilassamento per la gestione della propria capacità di affrontare lo stress è vivamente consigliato. Un trattamento consigliato in molti casi, tendente ad arricchire l’offerta terapeutica dell’iperacusia è la Terapia Cognitiva-Comportamentale (TCC): questa, condotta da un counsellor esperto, è finalizzata a rimuovere le cognizioni ed i comportamenti non funzionali mediante prese di coscenza ed ampliamento delle conoscenze ed aiuto a sviluppare capacità di affrontamento (coping) di certe situazioni. Ma è fondamentale in tutti i casi una valutazione clinica dello stato psicologico del paziente essendo molte e complesse, come abbiamo visto, le interazioni fra le condizioni psicologiche e l’ipersensibilità uditiva.

Terapie farmacologiche rivolte alla rimodulazione dell Serotonina sono in fase di studio.

FONTE DELLE INFORMAZIONI:
A.I.R.S.onlus

FONTE DELL’IMMAGINE:
LINEARApprecchiAcustici

 

di Monia De Tommaso

 

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